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COMMERCIO INTERNAZIONALE
Insieme degli scambi che si svolgono fra stati sovrani. La sua origine è antichissima e quindi impossibile da definire con precisione. Il suo sviluppo fu limitato per molti secoli (praticamente fino alla rivoluzione industriale) dai costi di trasporto. Salvo che per poche merci di elevato valore unitario (manufatti di alta qualità, spezie ecc.), il commercio era possibile solo su distanze relativamente brevi (al massimo poche centinaia di chilometri). Il sistema più economico era il trasporto via acqua (mare o fiume) che perciò concentrava gran parte degli scambi. Inoltre l'incremento dei traffici era ostacolato da fattori istituzionali. Nel Medioevo e nella prima età moderna gli apparati statali non furono in grado di garantire la sicurezza fisica dei traffici; oltre a ciò limitarono la libertà di commercio imponendo tariffe per proteggere la produzione nazionale (o semplicemente per sfruttare la posizione geografica) o concedendo privilegi a particolari gruppi di mercanti. Infine le difficoltà di trasporto e di comunicazione (scambio di informazioni) riducevano il livello di integrazione dei mercati (cioè la tendenza alla convergenza dei prezzi della stessa merce tra mercati diversi). Tali ostacoli furono progressivamente superati a partire dalla fine del XVIII secolo. Fattore decisivo di tale processo fu il miglioramento dei mezzi di trasporto, determinato da una serie di innovazioni che interessarono sia quelli terrestri (ferrovia, nuovi tipi di strade) che quelli marittimi (nave a vapore). Tale miglioramento permise l'allargamento della gamma di merci scambiate e del raggio di azione del commercio, fino a creare nella seconda metà del XIX secolo un primo mercato mondiale, caratterizzato dalla bassa incidenza dei costi di trasporto, dall'ampia disponibilità di informazioni (e in questo senso fu decisiva la creazione di una rete di cavi telegrafici) e da un elevato livello di integrazione, soprattutto per le merci omogenee (come i prodotti primari). Il volume complessivo delle merci scambiate aumentò molto rapidamente fino alla Prima guerra mondiale (con un parallelo incremento del rapporto tra commercio e produzione) e più lentamente dopo. La grande crisi del 1929 ridusse fortemente il commercio per la caduta del reddito mondiale e la diffusione di misure protezionistiche. Nel secondo dopoguerra lo sviluppo economico mondiale e la progressiva liberalizzazione degli scambi (attraverso accordi Gatt) permisero una rapida crescita del commercio. Nella prima fase di espansione prevalse il "commercio verticale", cioè lo scambio tra manufatti e prodotti primari. I primi provenivano dai paesi industriali; il principale fornitore fu per tutto il XIX secolo la Gran Bretagna, che approfittò del vantaggio tecnologico guadagnato con la rivoluzione industriale per svolgere il ruolo di "officina del mondo". Sua tradizionale rivale era la Francia (le cui esportazioni erano caratterizzate da un livello qualitativo più elevato); ma dalla fine del XIX secolo si affermarono progressivamente nuovi concorrenti: Germania e Stati Uniti nei beni a più alto contenuto tecnologico (macchinari, prodotti chimici); Italia, Giappone e altri nei prodotti tradizionali a più basso costo. I prodotti primari venivano dai paesi di nuovo insediamento popolati da emigrati europei: cotone e grano dagli Usa, grano, carne e lana dall'Australia ecc. Contrariamente a quanto spesso affermato, le colonie (cioè gli attuali paesi sottosviluppati) svolgevano un ruolo abbastanza marginale nel commercio mondiale. Dopo la Seconda guerra mondiale il quadro fu modificato dalla forte crescita del "commercio orizzontale", cioè dello scambio di manufatti, prevalentemente condotto tra paesi industriali. Negli anni novanta quest'ultimo costituiva la maggior parte del commercio mondiale. I principali esportatori erano Germania, Giappone e Stati Uniti (i quali comunque esportavano anche prodotti primari), mentre si era notevolmente ridotta la quota dei tradizionali paesi industriali (Gran Bretagna, Francia ecc.). Erano inoltre comparsi nuovi paesi esportatori di manufatti, i Nic (Newly Industrialized Countries, Paesi di nuova industrializzazione), cioè i paesi dell'Asia meridionale (Corea del sud, Taiwan, Hong Kong, Malaysia) e altri (tra i quali Spagna, Brasile e Messico), che basavano la loro capacità concorrenziale sull'uso di manodopera abbondante e a basso costo. Infine era aumentato moltissimo il commercio di petrolio come principale fonte di energia (a differenza del carbone assente da molti paesi industriali); tale crescita sconvolse la gerarchia tradizionale dei prodotti primari.

S. Guarracino
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